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Project B Contemporary Art

MARC QUINN

The leaving Mark

Sangue che assume volumi solidi, medicinali che si mescolano nella cera polimerica, consunzioni che si ipnotizzano nel tempo eterno? l'arte di Marc Quinn è un calibrato equilibrio tra carne viva e virtù iconografiche, tra la densit? muscolare e il suo valore immaginifico. L'esercizio creativo si trasforma così in uno svolgimento che isola e sublima la rovina organica, ricreando la bellezza figurativa di un'estasi contemporanea.

Una bellezza anomala, mortificata dal corso degli eventi. Una bellezza che ritrae la vita nella sua essenza crudele. Trattata da Quinn con la grazia dei panneggi di Pontormo o degli incarnati luminosi alla Guido Reni. La patologia e la consumazione fisica, segno di una bellezza coraggiosa, entrano in sintonia con la tensione figurativa, finch? l'immagine del vero (la realt? da cui parte l'idea) si scioglie nella grazia irruente del gesto catartico. L'opera nasce in quel lungo istante, quando l'amore per il soggetto (da narrare con il linguaggio prescelto) diviene consapevolezza della propria onest? interiore.

E' il corpo vivo (umano, animale, vegetale) a porsi al centro attraverso sguardi sentimentali, intensamente emozionati. L'artista entra nel cuore pulsante della ferita, accarezza la morte al lavoro, ascolta l'amputazione e la biologia invisibile. Innalza una fermata momentanea davanti alla morte, una sorta di specchio con cui scivolare verso un fondo sconfinato: per confrontarci con il rimosso, la paura del buio, il dolore necessario. Uno specchio interiore in cui l'umanit? parla la medesima lingua: nelle reazioni primarie, nelle urgenze respiratorie, nella pulsione sessuale, negli istinti di sopravvivenza famelica. Dove proprio la ferita crea il passaggio in avanti, la consapevolezza sacrale del dolore. E offre un valore terapeutico, quasi sciamanico, tramite la qualit? estetica e le sue euforie patinate.

L'arte di Quinn possiede la muscolarit? sanguigna del Barocco, la voglia ascetica di elevare la crudezza al suo misticismo luminoso. Vediamo la disgregazione come fosse un abito candido su lana di vetro. Le sculture in marmo di Carrara, ad esempio, fissano la mutilazione con la grazia di un Hans Arp, togliendo la drammaticit? della condizione oggettiva senza però sottrarre il pathos dell'energia individuale. Quinn crea sottili rimandi alla pressione compressa di Borromini, elaborando opere che spingono verso l'interno e si fanno avvolgere dallo spazio. C'è vita e morte in dosi pressoch? identiche: solo la vostra coscienza decider? dove spingere il peso dello sguardo, ribadendo i valori di un'ambivalenza nei significati, negli spunti, nelle reazioni del fruitore. Non è casuale ritrovare diversi scheletri in posture vitali, sculture di focomelici in azioni flessuose, bellissimi fiori dentro celle refrigeranti. Sentiamo l'icona e il suo linguaggio, ne percepiamo l'ambiguit?, l'energia crescente e la compressione nel momento di massima potenza. L'autore stoppa l'immagine nell'istante ideale, la ipnotizza sul punto di fusione tra vitalit? ed epilogo. Proprio lì si ricrea l'ambivalenza della forma e la catarsi dei contenuti. Proprio lì nasce il valore universale di un immaginario condiviso.

Le opere, d'altronde, parlano in maniera sintetica. Pochi fronzoli scenografici e un chiaro obiettivo: ricreare emozioni ancestrali attraverso un impatto catartico. Nei vari cicli cambiano i linguaggi ma non il tempismo etico, confermando una coerente ossessione per la natura più brutale. Quinn gioca tra la crudezza del vero e la sua sublimazione apparente, tra immagine e immaginario. Prendiamo la scultura con Kate Moss in posizione da yoga. Lei, icona del mondo glamour, scandalosa brit girl che supera i limiti sociali per riabilitarli, ?veste? la propria carne di bianco sensuale. Si dissolve il suo corpo nel gesto orientale, sfumano i loghi da indossare e rimane la pura essenza umana, il viso riconoscibile, l'erotismo di una femminilit? onesta. Richiama una dea in chiave umana, una KalìKate che diviene icona ma nel modo più astratto. In alcuni momenti sembra distante da tutto, in altri si avvicina a noi con una socievolezza senza agitazioni. Ha qualcosa di molto fisico e al contempo si libra con modi spirituali e fantasmatici. L'autenticit? mediatica crea il suo alias tra vero e falso, essere ed esserci, memoria e contemporaneit?.

La stessa natura cromatica conferma le ambivalenze, il gioco di contrasti, il rapporto empatico tra pieni e vuoti, luci e ombre, spinte e compressioni. Da una parte le sculture che potenziano il bianco dai riflessi lattiginosi; dall'altra il nero bituminoso sopra i calchi bronzei di carcasse da macello. Da una parte le teste di sangue che esaltano la densit? del rosso dentro teche dal sapore scientifico; dall'altra gli acquarelli dai colori morbidi, liquidamente espansi. Finch? la pittura su tela ribadisce una sintesi degli opposti: manualit? e tensione iperrealista, realismo e totale finzione, vita e morte in un'estasi acida.

I paesaggi vegetali (e vegetativi) di questa mostra ribadiscono la natura polivalente di Quinn. Viene voglia di mordere le fragole, leccare i petali, annusare ogni fiore in campo, toccare i particolari di una natura innaturale. Da un bianco nevoso spuntano forme che fanno riflettere sulle distanze tra nature vive e morte. Il paesaggio ha qualcosa di caramelloso e famelico, le forme sembrano piante carnivore che attirano gli insetti coi loro colori accecanti. Non puoi credere che tutto sia congelato entro temperature polari. Pensi ad una natura mimetica che si veste di puro colore per attirare gli estranei attraverso l'erotismo primordiale dell'aspetto fisico. E invece stai assistendo allo spettacolo di una morte ritardata, uno stop decisivo nel decorso travolgente della dissoluzione. La vita biologica scompare e resta l'aspetto superficiale al suo massimo splendore. Vince un'apparenza che si trasforma in immagine. Vince la supremazia del gesto d'artista, la sua piccola onnipotenza creativa. Manipolare la vita, controllare la morte, agire sul tempo e lo spazio attorno ai corpi: un sogno che l'arte rende ancora possibile. Soprattutto quando la morte ti accompagna come un cobra invisibile: passo dopo passo, sguardo dopo sguardo, gesto dopo gesto. La vita, in fondo, chiede sempre il contrappunto di una fine imminente. Una natura, in fondo, non è mai completamente morta.

Gianluca Marziani