Marc Quinn è nato a Londra nel 1964.
Il suo lavoro, espresso attraverso varie tecniche e mezzi, è una costante riflessione sulla natura umana, la vita
e la morte. L'artista ha raggiunto la notorietà all'inizio degli anni '90, attraverso la sua opera Self, una scultura
della sua testa ottenuta con 4,5 litri del suo sangue congelato. Il tema della conservazione, del mantenimento
delle forme viventi, per preservarle dal fluire del tempo, è sempre stato una costante nelle sue opere, la più
recente delle quali, Sky, riproduce la testa del figlio dell'artista realizzata utilizzando la placenta umana ed il
cordone ombelicale del bambino.
Quinn utilizza anche tecniche "tradizionali" e spazia anche nel campo della pittura, note le sue grandi
compoisizioni floreali, oltre alla stampa e alla fotografia, sempre cercando di capire e descrivere il processo
della vita. In Italia è stato protagonista di una mostra personale, nel 2000, presso la Fondazione Prada a cura
di Germano Celant ed è in corso una personale a Roma, presso il Macro Museo d'Arte Contemporanea a cura
di Danilo Eccher e Achille Bonito Oliva.
Nel giardino di Quinn i fiori incarnano questa dimensione del simbolico. Non solo perché una rosa o un giglio
potrebbero assumere il significato iconografico del pudore o della purezza della Vergine, ma anche perché per
un fiore è impossibile non significare qualcosa: è impossibile sottrarre ai fiori la loro simbologia.
Germano Celant, Marc Quinn: sulla via dell'Eden, in Marc Quinn, Milano, Fondazione Prada, 2000, p. 18.
Natura e antinatura concorrono nell'opera di Marc Quinn a realizzare un armistizio tra la catastrofe del tempo
e il nostro desiderio di durata. L'arte sembra al servizio di un sogno di onnipotenza, quello di eternare il nostro
presente, espellare allegramente ogni speranza di futuro nel hic e nunc di un'opera che, attraverso la
contemplazione, trattiene lo spettatore sulla felice soglia dell'eterno presente.
Achille Bonito Oliva, L'arte è la morte al lavoro, in Marc Quinn, Milano, Electa/Macro, 2006, p. 28.
Marc Quinn decide di ripiegare il proprio sguardo nel punto in cui l'immagine non si è ancora definita, dove le
mille sembianze sono ancora possibili, nel dubbio di una realtà non ancora nata. Ancor prima di un'indagine
formale, l'arte di Marc Quinn testimonia innanzitutto il coraggio di una ricerca che non vuol limitarsi al proprio
oggetto ma si concentra sul processo stesso della definizione dell'oggetto.
Danilo Eccher, Marc Quinn: come nella terra di nessuno, in Marc Quinn, Milano, Electa/Macro, 2006, p. 78.
Sangue che si congela e solidifica, medicinali che si mescolano nella cera polimerica, consunzioni che si
ipnotizzano nel tempo eterno�c l'arte di Marc Quinn è un perfetto equilibrio tra carne viva e virtù iconografiche,
tra la densità organica e il suo valore immaginifico. L'esercizio creativo si trasforma così in un'elaborazione
che blocca la degenerazione organica, ricreando la bellezza figurativa di un'estasi contemporanea. Una
bellezza anomala, alterata, ferita. Trattata da Quinn con la grazia dei panneggi di Pontormo o degli incarnati
luminosi alla Guido Reni. La patologia e la consumazione fisica entrano in sintonia con la tensione figurativa,
finché l'immagine del vero si scioglie nella grazia irruente di uno sguardo catartico.
Gianluca Marziani, 2006.