ProjectB è felice di presentare
la mostra bi-personale di Davide Monaldi e Tindar, due giovani artisti italiani
entrambi finalisti alla diciassettesima edizione del Premio Cairo (Milano,
Palazzo Reale, 10-13 novembre 2016).
Il
disegno è il filo conduttore che lega le opere dei due artisti: disegno come
punto di partenza da cui entrambi prendono le mosse per poi trasformarlo, per
sottrazione o addizione, in un lavoro che evolve verso forme completamente
nuove e inaspettate.
Monaldi inizia il suo percorso artistico
disegnando immagini complesse che richiedono, per la loro costruzione, l’uso
del colore. Comincia poi a plasmare le sue prime opere in argilla e a operare progressivamente
una sottrazione che lo porta alla creazione, dal 2010, di piccole sculture in
ceramica, poetiche e dall'estetica minimale, che raccontano microstorie intime
e legate al quotidiano, nobilitando il processo di lavorazione artigianale.
Tindar parte dalle sue opere Radici,
simbolo di ciò che non si può vedere, disegnate a matita su pagine di testi
antichi che sono a fondamento delle civiltà, proseguendo poi con la serie Tracce:
impronte impresse su carta e ripetute mille volte, in un gesto quasi scultoreo.
Evoluzione di queste prime opere è The Trace Project, progetto in cui l’arte si mette al
servizio dell’uomo per portare un aiuto diretto ai migranti di Calais. A
ognuno dei due artisti è dedicata una delle due sale della galleria di Milano,
con l’intento di creare un dialogo naturale tra i loro lavori, una narrazione
per contrappunti che diventa percorso fatto più di echi e riverberi che di
contaminazioni e confronti.
DAVIDE MONALDI
Hula Hoop che diventano improvvisamente pesanti,
palle da rugby che non ribalzano ma volano comunque verso l’alto per diventare
totem, lavori dove Monadi offre la sua visone del mondo da un punto di vista
alternativo, che l’arte dovrebbe sempre svelare.
Oggetti semplici elevati a opere, per forma e
dimensione uguali agli originali, attraverso una produzione in cui il processo
artigianale della lavorazione dell’argilla diventa fondamento concettuale
dell’opera stessa.
L’opera plastica di Davide Monaldi, plasmata in
ceramica o terracotta grezza, è stata definita da Saverio Verini “un calco
del mondo”: elastici
colorati o carte da parati che si staccano dalla parete diventano oggetti degni
di apprezzamento estetico e si mischiano a maschere e figure che rimandano al
tema dell’autoritratto.
Nella trasfigurazione, di questi oggetti-soggetti
non ci sonno tracce di grandiosità, ma più un retrogusto serio e quasi amaro
che si stacca nettamente dall’apparente ironia di alcuni lavori, dalla retorica
del recupero o da qualsiasi pretesa estetizzante.
Uno sguardo poetico che richiama all’infanzia,
melanconico ma orgoglioso della manualità che Monaldi, da ceramista autodidatta,
ha riversato nelle sue opere, nobilitando la tecnica
nell’ambito del contemporaneo e partecipando a quel movimento di recupero di un
certo gesto artistico, reclamato ultimamento da molti giovani artisti.
TINDAR
Le Tracce, l’impressione
dell’impronta digitale, sono una
vera e propria allegoria dell’io.
Una serie nata attorno all’unicità delle nostre
impronte digitali, impresse a inchiostro su carta e ripetute, in un gesto quasi
scultoreo, mille volte a quadro per ricreare la forma specifica di ognuno. Il “micro”
della nostra semplice impronta forma il “macro” di una forma effimera, che
ripetendosi all’infinito, mostra la sua inconsistenza.
A partire da queste prime opere Tindar ha dato vita
ad un nuovo significato per la serie, The Traces Project, un progetto dove l’arte si mette al
servizio dell’uomo per portare un aiuto diretto ai migranti di Calais.
L’artista si è recato personalmente più volte, da
novembre 2015 in poi, nei campi profughi per raccogliere seimila impronte
impresse dagli stessi rifugiati, senza differenze di etnia, credo o religione.
Un gesto di consapevolezza dove per la prima volta ai migranti è chiesto di
offrire un contributo, invece di chiedere la loro impronta digitale per
identificazione.
Durante
la precedente mostra di Tindar in galleria, sono state raccolte le impronte di
chi voleva donarle come partecipazione al progetto, attraverso il gesto
simbolico “di sporcarsi le mani con l’inchiostro”. Quelle impronte, unitamente
a quelle raccolte dall’artista nel campo profughi di Calais, formano oggi il
nuovo ciclo The Trace
Project, che verrà
esposto con una mostra itinerante in tutta Europa per poi essere venduto all’asta
a Parigi a favore dei progetti dell’associazione. Recentemente il progetto è stato recensito,
in un lungo articolo, da Bernard Henry Levy sul Corriere della Sera.
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